– di Ilaria Sesana –
Per comprendere meglio le mafie straniere in Italia bisogna fare un salto indietro nel tempo e attraversare l’Atlantico. Tornare nell’aula del tribunale di New York dove, il 24 ottobre 1985, il pubblico ministero Robert Stewart ha pronunciato la requisitoria finale del processo “Pizza Connection”. Punto d’arrivo di un’inchiesta che ha svelato il ruolo di Cosa Nostra nel traffico di stupefacenti negli Stati Uniti tra il 1975 e il 1984, oltre che i legami tra i capi locali e quelli rimasti in Sicilia, terra d’origine di molti degli imputati alla sbarra davanti ai giudici di New York.
“Negli Stati Uniti ci hanno messo settant’anni a capire quello che stava facendo la criminalità di origine italiana e quanto fosse pericolosa. Ma fino a quando la mafia siciliana è stata considerata ‘altro’ rispetto alla società statunitense, le autorità non sono riuscite a contrastarla. A quel punto, però, Cosa Nostra aveva già affondato le sue radici nell’economia statunitense. Per evitare che questo succeda anche in Italia, dove da anni sono presenti e attive diverse forme di criminalità organizzata di origine straniera, è necessario imparare questa lezione”, spiega Andrea Di Nicola, criminologo e docente di criminologia all’Università di Trento, co-autore assieme al giornalista Giampaolo Musumeci, di “Cosa loro, cosa nostra. Come le mafie straniere sono diventate un pezzo d’Italia” (UTET 2021). […]